ROMA – Sei anni fa è partito da solo. Con una motocicletta, ha attraversato i villaggi dell’Africa equatoriale, tra l’Uganda, il Congo e il Sud Sudan. Lui, Marco de Feo, ricercatore odontoiatra, voleva capire che cosa succedeva ai tantissimi bambini e bambine colpiti ripetutamente da tumori alla bocca e alla mandibola. Tumori odontogeni. “Riuscivamo ad asportarli chirurgicamente, ma dopo qualche tempo insorgevano recidive”. Una, due, anche sette volte. Per i piccoli non c’era scampo.
De Feo mostra le fotografie scattate da lui di volti martoriati da una malattia misteriosa. La platea è quella dei suoi colleghi medici e odontoiatri riuniti questa mattina all’ordine dei medici di Roma per ascoltare la sua esperienza. Con loro, de Feo condivide i risultati di una ricerca che ha iniziato da solo ma che adesso conduce insieme all’Idi e allo Spallanzani. I risultati parlano di un possibile nuovo oncovirus. “Possibile, perché lo studio non è finito e per portarlo avanti sono necessari ulteriori fondi”. Sono necessari per salvare vite umane. Sono necessari per garantire che la scoperta di questo possibile ottavo oncovirus sia un risultato italiano.
“È quello che mi auguro e che spero, ma so che questa ricerca può essere ambita anche da altre strutture non propriamente italiane”, riprende de Feo intervistato dall’agenzia Dire. Nella sede dell’Ordine dei medici di Roma, l’odontoiatra racconta la sua storia: “Sono volontario da 40 anni nelle missioni dei missionari comboniani. Mi sono accorto da tantissima anni che in Africa equatoriale, ma non solo lì, in tutto il mondo, esistono dei devastanti tumori orali che colpiscono soprattutto i bambini e i giovani adulti. Ho iniziato quindi una ricerca sei anni fa recandomi dentro i villaggi in Uganda con una motocicletta a cercare le possibili cause di questi tumori così enigmatici”.
Mese dopo mese, anno dopo anno, la sua équipe si arricchiva di ricercatori italiani e di collaboratori africani che aiutavano de Feo a entrare nelle comunità locali e a capirne le abitudini. Soprattutto alimentari. “Dopo numerosi studi che ho condotto all’università di Kinshasa, nella Repubblica democratica del Congo, sembra che possa trattarsi di un virus molto pericoloso, minaccioso ed emergente: il virus di Lassa”. Il medico riesce a isolarlo e a studiarlo. “Possiamo definirlo un cugino dell’Ebola, emorragico, che probabilmente per una mutazione può provocare questi tumori. È un virus zoonotico, che infetta attraverso i topi, i pipistrelli e anche i serpenti, perché questi vengono consumati in grandi quantità in diverse popolazioni dell’Africa, ma anche dell’Asia e dell’America meridionale”.
Sì, perché la povertà in quelle terre è assoluta. Gli abitanti sono costretti a mangiare tutto quello che trovano, compresi ratti e pipistrelli. “Ci si può contagiare anche attraverso l’acqua contaminata da feci e urine e in tante altre modalità che ho individuati dentro i villaggi”, racconta ancora de Feo. Che nel frattempo ha visto morire tantissimi suoi piccoli pazienti. E sa che soltanto lo studio scientifico può salvare gli altri. “Questa è una ricerca tutta italiana, l’ho iniziata da solo e ora la sto conducendo insieme all’Idi e allo Spallanzani. Il problema, che in Italia è cronico, è quello di reperire i fondi necessari per portarla avanti”, conclude. La sua speranza è che si faccia presto, perché gli interessi in gioco dall’esterno possono trasferire i risultati altrove. “Ma mi auguro e spero che possa rimanere in Italia”.
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