ROMA – “C’è poco, pochissimo, quasi nulla sul Piano Mattei sulla stampa dei Paesi dell’Africa”. Abdoulaye Diarra, già mediatore culturale in Italia, ora direttore in Mali dell’Organisation pour le Bien Etre Solidaire (Obes), parla con l’agenzia Dire dopo una piccola ricerca. Si trova a Bamako, nel cuore del Sahel, ma assicura di aver allargato lo sguardo e cercato qua e là anche sul web: almeno dal Senegal alla Costa d’Avorio, una ex colonia francese “new entry” tra le priorità italiane a sud del Sahara. “Continuerò a monitorare ma per ora non c’è molto, al di là di comunicati di ambasciate o ministeri degli Esteri” sottolinea Diarra. “I pochi contributi riguardano il vertice Italia-Africa organizzato dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni a Roma il 29 e 30 gennaio”.
SULLE TESTATE INTERNAZIONALI, NON SU QUELLE LOCALI
Dal conto si tengono fuori i servizi di testate internazionali più che africane: si tratti del portale di divulgazione accademica ‘The Conversation’, che dà ad esempio spazio all’analisi di Jean Pierre Darnis, professore con origini francesi e una vita a Roma, o di Africanews, emittente subsahariana nata dal progetto Euronews. Scarsa copertura non vuol dire, beninteso, approccio negativo. E ciò nonostante critiche al progetto italiano, o meglio ad alcune sue modalità, siano state espresse già al vertice di Roma. “Penso al presidente della Commissione dell’Unione Africana Moussa Faki Mahamat” ricorda Diarra: “Ha denunciato una preparazione unilaterale, senza un coinvolgimento vero dei Paesi partner”.
QUANTO PESA IL CONFRONTO CON CINA, RUSSIA O TURCHIA
C’è anche ovviamente chi critica nel merito. È il caso di Dean Bhekumuzi Bhebhe, esponente di Don’t gas Africa, una campagna che riunisce organizzazioni della società civile di più Paesi del continente. Secondo l’attivista, che è di base a Johannesburg, il Piano Mattei è “un simbolo delle ambizioni dell’Italia sui combustibili fossili”. E non è solo la denominazione del progetto, omaggio a Enrico Mattei, fondatore dell’Ente nazionale idrocarburi (Eni). Il rischio, secondo Bhebhe, sarebbe “trasformare l’Africa in un corridoio energetico per l’Europa” compromettendo la transizione verso le fonti rinnovabili. A pesare, e qui si torna ai mezzi d’informazione, è poi il paragone. Secondo Diarra, format come Cina-Africa, Russia-Africa o anche Turchia-Africa hanno catturato più attenzione. “In tutti questi casi vertici, proposte e investimenti sono stati seguiti con cura e costanza” annota il direttore di Obes: “Con l’Italia non è andata così, almeno per ora”.
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